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L’attività

​​​Il giorno 13 maggio 2017, presso Casa Bertoli di via Popone 6, si terrà la presentazione del numero 85 della rivista dal titolo ‘Voce concordi’. Scritti per Claudio Zaccaria, a cura di Fulvia Mainardis

 

 

 

 

 

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Nei giorni 10-12 maggio 2017 si terrà la 48 Settimana di Studi Aquileiesi organizzata dal Centro di Antichità Altoadriatiche in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste e la Fondazione Aquileia. Il tema dei lavori sarà incentrato sull’acqua pubblica (adduzione e distribuzione).

 

 

 

 

 

 

 

RELAZIONI

 

Mario Fiorentini (Università di Trieste): La gestione degli acquedotti nel mondo romano: prassi amministrative e attività private

La relazione si propone di evidenziare sinteticamente le varie modalità con cui, nel corso dei secoli, dall’età repubblicana a quella giustinianea, è stata governata la complessa macchina amministrativa che gestiva gli acquedotti nel mondo romano. Con preferenza per le fonti giuridiche, ma con incursioni in quelle letterarie ed epigrafiche, si tenterà di osservare come normative e prassi di buon govrno e di mala gestione abbiano interagito tra loro. Attraverso la lettura di alcuni episodi avvenuti già nel II sec. a. C. ci si proporrà anche di esaminare brevemente la questione, ancora non risolta, se sia possibile vedere nell’operare degli organi centrali romani un procedimento assimilabile alla moderna espropriazione per pubblica utilità. Un ulteriore elemento di breve analisi sarà la progressiva criminalizzazione dei comportamenti vandalici contro le strutture materiali degli acquedotti (occupazione delle vie di manutenzione, foratura dei condotti), mediante l’osservazione dei profili sanzionatori disposti dal legislatore dalla prima età imperiale (lex Quinctia, senatoconsulti augustei) fino all’età giustinianea.

 

Claudio Zaccaria (Università di Trieste): L’acqua in età romana: ‘bene comune’ tra cura pubblica e evergetismo privato. Testimonianze epigrafiche.

Nella concezione filosofica e religiosa dei romani, e i qualche misura anche nel sentire comune, l’acqua è dono degli dei e bene comune, di cui tutti devono poter usufruire senza impedimenti. Proprio in quanto bene pubblico, però, la sua distribuzione e il suo uso devono essere regolamentati da normative civiche e garantiti dalla pubblica amministrazione, che provvede alla costruzione delle strutture necessarie e alla loro manutenzione, a cui contribuiscono anche privati cittadini con opere evergetiche. Ciò non esclude l’esistenza di acquedotti e condutture in proprietà di privati. Alcuni documenti epigrafici forniscono testimonianze concrete di queste prassi.

 

Alfredo Buonopane (Università di Verona): “Vetustate et incuria delapsus”: il degrado degli impianti idrici e gli interventi di restauro nella documentazione epigrafica.

Numerose iscrizioni ricordano che gli acquedotti erano col tempo soggetti a gravi fenomeni di degrado, cui si poneva rimedio con interventi di restauro di vario genere. Approfondendo alcuni casi di studio, si prenderanno in esame le cause del degrado, gli interventi attuati e i promotori di tali iniziative (imperatore, funzionari statali e amministratori locali, privati cittadini). 

 

Francesca Ghedini  (Università di Padova): Aquae salutiferae nell’Occidente romano

Il contributo intende illustrare le modalità con cui le acque salutifere furono sfruttate nell'Occidente romano. Dopo una breve presentazione del caso italiano, verrà presentata la documentazione relativa alla Rezia, Germania e Gallia, da cui si possono trarre indicazioni utili in merito agli aspetti sia sociali che religiosi. La relazione, coerentemente con l'argomento dell'incontro, si soffermerà con particolare attenzione sugli aspetti infrastrutturali della captazione e distribuzione delle acque termominerali.

 

Caterina Previato (Università di Padova): Sistemi di approvvigionamento idrico ad Aquileia in età romana

Le indagini archeologiche finora condotte ad Aquileia hanno dimostrato che in età romana l’approvvigionamento idrico della città era garantito da pozzi che raccoglievano l’acqua presente nel sottosuolo e da almeno un acquedotto articolato in una serie di condotti con varie diramazioni, entro cui erano posti dei tubi in piombo, le fistulae, che permettevano la distribuzione dell’acqua nei diversi quartieri urbani. Poco diffuse erano invece le cisterne, evidentemente perché l’acquedotto e le acque sotterranee, particolarmente abbondanti nella zona, erano sufficienti a soddisfare i bisogni della popolazione. Il presente contributo mira a prendere in esame tutti i dati disponibili sui diversi manufatti funzionali all’approvvigionamento idrico della città, allo scopo di tracciare un quadro di sintesi su morfologia, distribuzione, percorsi e cronologia dei diversi sistemi di rifornimento, conservazione e distribuzione dell’acqua utilizzati ad Aquileia in età romana, dall’età repubblicana alla tarda età imperiale, tenendo in considerazione le caratteristiche idrogeologiche del territorio ove sorge la città e mettendo a confronto la realtà aquileiese con quella degli altri centri urbani dell’Italia settentrionale.

 

Marina Rubinich (Università di Udine): Adduzione e distribuzione delle acque nelle Grandi terme di Aquileia: i dati dello scavo

Le Grandi terme costantiniane di Aquileia, per la loro funzione e per la loro grande estensione, richiedevano imponenti impianti per l’approvvigionamento e lo stoccaggio dell’acqua e una capillare rete di adduzione, distribuzione e smaltimento, indispensabili per l’alimentazione di vasche, piscine e fontane. Nonostante la sistematica spoliazione delle strutture murarie e delle canalizzazioni, le indagini archeologiche recenti permettono di rileggere anche i dati degli scavi pregressi e di fare il punto sulle informazioni a nostra disposizione sull’argomento. Si presenterà anche un rinvenimento inedito di questi ultimissimi anni: un’ampia struttura con vasche e resti di canalizzazione, presumibilmente una fontana monumentale, parzialmente smontata in antico e obliterata dal pavimento a grandi tessere di uno degli ambienti lungo il lato settentrionale delle terme costantiniane. La recente scoperta apre nuove prospettive sulla topografia e sulla successione delle fasi monumentali in quest’area della città.

 

Gaetano Benčić (Museo del territorio Parentino), Paola Maggi (Università di Trieste), Corinne Rousse (Aix-Marseille Université, Centre C. Jullian): La cisterna della villa di Santa Marina presso il complesso di Loron (Tar Vabriga, Croazia)

Indagini condotte a partire dal 2012 nell’ambito di un programma di ricerca internazionale croato-francese hanno messo in evidenza, lungo la baia di Santa Marina, la presenza di un ampio complesso residenziale circa 400 m a nord dell’atelier di Loron, ben noto come una delle figline più attive dell’alto Adriatico in età imperiale, in particolare per la sua produzione di anfore olearie Dressel 6B. Il complesso faceva parte di una grande proprietà costiera impiantata intorno al 10 d.C. nel territorio della colonia di Parentium. I bolli sulle anfore indicano la successione di una serie di proprietari fino alla metà del II sec. d.C., tra quali vi sono influenti membri dell’ordine senatoriale come il fondatore Sisenna Statilius Taurus, o vicini all’imperatore come Calvia Crispinilla, magistra libidinum Neronis; dall’età di Domiziano vengono segnalati i nomi degli imperatori, fino ad Adriano. A questa proprietà di alto livello afferiva probabilmente la villa di Santa Marina, che ad oggi è stato possibile indagare solo per un’area limitata, dato che la maggior parte della sua superficie (stimata in circa 10000 mq) rimane coperta dal bosco ed in parte inaccessibile. I risultati delle tre campagne di scavo finora condotte, da considerarsi preliminari, riguardano il fronte sul mare della villa, che correva con una successione di ambienti lungo oltre 100 m, ed un settore di servizio, edificato su un terrazzo ad una distanza di 40 m dalla riva intorno ad una larga cisterna, conservata in elevato per oltre 3 m. La cisterna rappresenta per ora l’elemento più caratterizzante del complesso: si tratta di una struttura di dimensioni imponenti e dalla muratura particolarmente massiccia, che riforniva una rete idraulica probabilmente orientata verso i settori più lussuosi della villa. L’intervento illustrerà le caratteristiche architettoniche della cisterna, mettendole anche a confronto con altri esempi noti in Istria, nonché gli elementi per l’inquadramento cronologico offerti dall’analisi preliminare dei materiali.

 

Robert Matijašić, Davor Bulić, Katarina Gerometta, Klara Buršić-Matijašić (Università di Pola): La cisterna romana da Monte Ricco presso Orsera

Il sito di Monte Ricco, un castelliere preromano nell’entroterra di Orsera, è specifico per la presenza di una cisterna romana, una presenza considerata anomala poichè dopo la conquista romana dell’Istria , e in modo particolare dopo la fondazione delle colonie di Pola e Parentium, le alture vengono – si riteneva –abbandonate. Però esistono diversi casi di tracce romane su castellieri, e lo scavo della cisterna di Monte Ricco ci ha fornito qualche nuovo elemento per capire meglio questo fenomeno, finora trascurato. La cisterna, 11,5 x 7,5 m (dimensioni interne) è incavata nella roccia, e conserva un frammento delle volte a botte che coprivano le tre navate, sostenute da pilastri quadrangolari. Specifica è la tecnica di costruzione dei muri: con un opus cementicium come mucleo, ricoperto all’interno e all’esterno da un opus incertum. Gli scavi finora condotti hanno potuto accertare la presenza di un’abitazione di epoca altoimperiale, poichè naturalmente la cisterna doveva venir alimentata dall’acqua piovana raccolta sui tetti circostanti. Frammenti abbondanti di affreschi, anche figurati, testimoniano una funzione abitativa di alto livello. Da un’analisi preliminare del materiale minuto si può supporre che il sito era abitato nel I sec. a.C. e fino alla metà del I sec. d.C., ma poi abbandonato.

 

Daniela Cottica (Università Ca’ Foscari Venezia), Marco Marchesini, Silvia Marvelli (Laboratorio di Palinologia e Archeobotanica - C.A.A. Giorgio Nicoli): Novità archeologiche sull’uso dell’acqua ad Aquileia (e nel mondo romano): le vasche per la macerazione della canapa sulla sponda orientale del Natiso cum Turro

Fra il 2010 e il 2012 l’Università Ca’ Foscari di Venezia, in collaborazione con la locale Soprintendenza ha avviato una serie d’indagini stratigrafiche nell’area dell’ex “Fondo Sandrigo”: , una proprietà ora demaniale ubicata sulla sponda orientale del Natiso cum Turro. Lo scopo della ricerca (responsabili scientifici D. Cottica e L. Fozzati), tuttora in corso, era di indagare la funzionalità dei quartieri periurbani di Aquileia; e lo scavo  fino ad ora ha restituito un’importante sequenza di fasi collocabili fra il I e il VI secolo d.C., permettendo per altro di intercettare e documentare la sistemazione della sponda fluviale in età romana. Tuttavia il dato più interessante nel panorama dell’archeologia aquileiese è il rinvenimento di un sistema di vasche rettangolari parzialmente messo in luce e interpretabile, anche sulla base dei risultati di un mirato progetto di analisi archeobotaniche, come un sistema pertinente alla lavorazione della canapa/Cannabis sativa e, nello specifico, alla fase della macerazione della pianta, necessario per la separazione della fibra poi utilizzata nella produzione tessile. Significativamente, mentre per quest’attività artigianale abbiamo una ricca documentazione etnografica, a oggi mancano evidenze archeologiche (almeno riconosciute come tali) della lavorazione della canapa nel mondo romano. Il rinvenimento presso l’ex “Fondo Sandrigo” quindi si presenta come un elemento di novità nel più generale panorama dell’archeologia romana e il primo caso per il territorio aquileiese; il contesto si presta inoltre ad alcune considerazioni preliminari sulla manifattura di tessuti in canapa che probabilmente ad Aquileia potevano essere destinati alla produzione di cordami e probabilmente anche di vele.

 

Fulvia Mainardis (Università di Trieste): Aquilam posuit, acuam induxit: considerazioni sul corredo epigrafico di alcune fontane aquileiesi

L’indagine prende in esame la ridotta ma interessante documentazione aquileiese, che, nel quadro delle azioni legate all’evergesia dell’acqua, rimanda, in un caso specifico, a un ambito collegiale.  Si tratta infatti di una donazione destinata  ad abbellire la sede del locale collegio dei centonarii.

 

Katja Marasović, Snježana Perojević, Jure Margeta (Università di Spalato) L’approvvigionamento dell’acqua del Palazzo di Diocleziano

L`acquedotto del Palazzo di Diocleziano a Spalato è stato costruito all`inizio del III secolo d.C. secondo i più alti standard architettonici del suo tempo. Prendeva l`acqua dalla sorgente del fiume Jadro, dalla stessa sorgente da cui veniva alimentato l`acquedotto della città di Salona, capitale della Provincia Dalmazia. Lungo il percorso dell’acquedotto di 9,5 chilometri sono stati costruiti quattro grandi ponti e un tunnel lungo più di un chilometro. Alla fine del XIX secolo l`acquedotto è stato ricostruito per l`approvvigionamento idrico della città di Spalato. Più di una metà dell`antico acquedotto è ancora in funzione.

 

Alka Starac (Museo di Pola): Le fontane di Pola

Il contributo discute le poche fontane entrate nella Collezione romana del Museo Archeologico dell'Istria prima del 2015. Tre fontane di piccole dimensioni scolpite in un blocco di marmo bianco appartengono al arredo di lusso del peristilio privato, e li entra a far parte una vasca in calcare istriano fortemente ispirata dalle fontane a scaletta. Si apre la questione di produzione di piccole fontane in marmo con particolare riguardo sulle figure in rilievo e la tradizione scultorea di Pola. Lastra di fontana con la testa di Medusa, per decenni considerata un elemento della decorazione architettonica forense, viene interpretata come elemento di una fontana pubblica rettangolare, possibilmente collocata vicino al foro. Rilievo con cariatide non sembra di essere originariamente previsto per la fontana, però in un momento dopo la demolizione dell'edificio in cui stava era forato nella bocca e utilizzato come fontana. Questo momento probabilmente cadde nella tarda antichità, quando sistema idrico di Pola doveva ancora funzionare normalmente. Si discute la provenienza del modello applicato di cariatide, probabile datazione e funzione originale nel programma decorativo pubblico.

 

Andrej Gaspari (Università di Lubiana) L’approvvigionamento e l’amministrazione dell’acqua a Emona: scoperte e riletture / Water supply and management in Emona: new insights

Preventive research of the area of the Roman Emona in the centre of the modern Ljubljana (Slovenia) from 2004 to 2015 deepened archaeological knowledge on the urban development and shed also new light on the city water supply in the first half of the 1st century AD. The presentation will focus on the shift from the private and public wells (barrel and stone/mortar build ones) of the early period (late Augustan-Tiberian era), accompanied by rudimental communal infrastructure (simple cess-pits, channels and outflows of the primary sewer-system) to the construction of the aqueduct and the installation of the lead conduits, presumably devised in the frame of the general refurbishment of the city communal infrastructure (renovation/enlargement of the cloacae), dated to the early years of Claudius reign. Special attention will be paid to the results of the lead isotope signature of the pipes, recovered during previous research and lacking precise contextual/stratigraphic data, and the elements, which seem to point to an early date of the installation.

 

 

Paolo Casari (Università di Udine): Gli acquedotti romani di Tergeste

La relazione ha per oggetto il sistema di adduzione e distribuzione dell’acqua che riforniva la città romana di Trieste. Dopo aver richiamato le ricerche condotte sinora, si riprendono in esame i resti noti, al fine di illustrarne la struttura, il percorso e la cronologia nel più ampio contesto di sviluppo della città romana.

 

Davide Gangale Risoleo (ricercatore indipendente): L’acquedotto romano di S. Maria in Stelle a Verona: una concessione privata per la captazione delle acque?”

S. Maria in Stelle è un piccola frazione che ricade nella circoscrizione 8 del comune di Verona, all’ingresso della Valpantena. Spesso è stata oggetto di studi per la presenza al di sotto della chiesa locale di un ipogeo con acquedotto, in passato definito pantheon dalla credenze popolari, santuario dedicato a tutte le divinità. Tale luogo ha da sempre suscitato l’interesse da parte degli studiosi perché rappresenterebbe uno degli esempi più antichi tra gli edifici paleocristiani nel nord d’Italia. Qui, infatti, a partire dal IV secolo d.C. si sarebbe insediato un luogo di culto cristiano, attestato da alcune pitture murali presenti all’interno della struttura, ma la cui declinazione rituale non è ancora chiara. Ma tale destinazione rappresenta soltanto una fase successiva e non coincide con l’originario impianto. L’ipogeo, infatti, nasce nel III secolo d.C. come acquedotto e attraverso un epigrafe qui rinvenuta, tale realizzazione è possibile legarla ad una figura precisa: Publio Pomponio Corneliano. Verrà analizzata tale fase originaria dell’acquedotto, tentando di ricostruirne il tracciato, la pianta originaria e le successive alterazioni al fine di proporre un’interpretazione nuova della funzione del monumento, non solo cultuale, ma soprattutto di carattere utilitaristico: pensata per condurre l’acqua sotto la tutela di un nume e non per offrire acqua in nome della stessa divinità. Il contributo mirerà quindi a rispondere alla seguente questione: come si colloca l’acquedotto di S. Maria in Stelle nella sfera delle proprietà delle captazioni idrauliche di carattere privato, già attestate altrove nell’Impero romano?

 

Serena Solano (funzionario archeologo - Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia): L’acquedotto romano della Valtrompia (BS): recupero e valorizzazione di un nuovo tratto

Tra le più importanti opere pubbliche realizzate in età augustea nell’ambito del riassetto urbano di Brixia, si colloca l’acquedotto romano che attraversava la Valtrompia e che, attraverso un percorso sotterraneo di 20 Km, arrivava in città garantendo l’approvvigionamento idrico agli edifici pubblici e privati. Un’epigrafe, oggi murata nella cella centrale del Capitolium, data la struttura entro la prima metà del I secolo d.C. e la collega direttamente alla volontà degli imperatori Augusto e Tiberio. Dell’acquedotto, che costituisce uno straordinario esempio dell’abilità ingegneristica idraulica romana si conservano diversi tratti, sia a Sarezzo che a Lumezzane, Villa Carcina, Concesio, Bovezzo e Brescia.  Nel 2014 i lavori per la realizzazione del collettore fognario della Valtrompia hanno portato in luce alcuni tratti dell’acquedotto in via Antonini a Sarezzo. Per conciliare le esigenze di posa dell’opera pubblica moderna con la salvaguardia della struttura antica, è stata autorizzata la rimozione di un tratto dell’acquedotto. Il reperto, recuperato con una complessa operazione di scavo, sollevamento e movimentazione, è stato ricollocato e restaurato nello spazio adiacente il municipio per una migliore fruizione pubblica. L’operazione ha coinvolto specialisti di diverse discipline, in un progetto che ha comportato lo scavo e il recupero di un tratto di 4,70 m di lunghezza, pesante 15 tonnellate.

 

Paolo Bonini (Accademia di Belle Arti di Brescia “Santa Giulia”): Servizio, ornamento, identità. Il valore dell’acqua nella cultura abitativa di Brescia romana

Come ricorda una celebre iscrizione che nomina Augusto e Tiberio, l’acquedotto che riforniva la città di Brescia dalla vicina Val Trompia è realizzato all’indomani della concessione del titolo di Colonia Civica Augusta. Tale infrastruttura migliora in maniera significativa la qualità della vita in città, non solo perché consente la costruzione di impianti termali pubblici, ma anche perché offre un servizio significativo alle ricche dimore del ceto dirigente: fra le pareti domestiche proliferano infatti fontane e giochi d’acqua, né mancano piccoli balnea.  La particolare enfasi con cui i proprietari mettono in risalto la presenza dell’acqua in casa propria induce a pensare che tale elemento rivestisse ai loro occhi un valore ben superiore a quello del semplice servizio. Attraverso l’analisi degli esempi più significativi di impianti per l’acqua scoperti nelle domus signorili, si mostrerà come a Brescia proprio l’acqua esibita nello spazio privato divenga un elemento fondamentale attraverso cui i ceti dirigenti locali aderiscono alle istanze introdotte dall’Urbe, adeguandosi allo stile di vita ed a modelli di autorappresentazione che sono tipici della romanità. Proprio come l’acquedotto e le mura rinnovano il paesaggio urbano di Brixia, connotandola in senso esplicitamente romano, un fenomeno analogo avviene anche nello spazio privato.

 

Anna  Maria  Fedeli (Soprintendenza Archeologia, B.A.P. per la città Metropolitana di Milano),  Ilaria  Frontori (Università di Milano), La gestione delle acque di superficie a Milano in età antica

Come è noto alla maggior parte dei suoi abitanti, fino ai primi decenni del secolo scorso Milano doveva avere sembianze piuttosto diverse rispetto alle attuali, soprattutto per via del suo stretto legame con l’acqua, garantito da una fitta rete di canali e da un apparato idrico alimentato da una ricca rete idrografica naturale.  L’origine dell’intero sistema, che nel corso dei secoli si è progressivamente adattato allo sviluppo planimetrico della città, va ricondotta agli iniziali processi di romanizzazione del territorio e ai primi interventi sistematici di pianificazione urbana. A partire dall’istituzione del municipium del 49 a.C., la ricerca di soluzioni che garantissero un ottimale approvvigionamento idrico e una solida difesa del nucleo urbano ha portato alla deviazione e all’irregimentazione di alcuni corsi d’acqua che lambivano l’abitato, con l’obiettivo di realizzare un autonomo ed efficiente sistema di acque interne.  L’intensa sovrapposizione edilizia che ha interessato Milano dall’età post-medievale ai giorni nostri ha irreversibilmente cancellato, con scarse possibilità di recupero, buona parte di questo vasto apparato idrografico; ciò nonostante, l’analisi dei dati archeologici emersi da alcuni contesti, confrontata con le testimonianze delle fonti storiche e cartografiche, sembra fornire elementi di primaria importanza nell’ottica della ricostruzione urbanistica, ponendo l’accento su aspetti fino ad oggi considerati marginalmente. I cospicui e frequenti rinvenimenti di opere di canalizzazione, di infrastrutture idriche e di tratti del fossato difensivo portano dunque a riaprire il dibattito sul reale aspetto della città antica, rivalutando l’importanza dell’elemento “acqua” nella definizione della sua corretta fisionomia. Anche a Mediolanum, così come in molte altre città della Regio XI Transpadana, alla base dell’attenta pianificazione urbanistica romana si sviluppava una capillare opera di gestione delle acque, volta alla creazione di un sistema autoalimentato e sostenibile. Tale sistema doveva necessariamente costituire la prima fonte di alimentazione degli edifici residenziali, delle fontane e delle terme, ma allo stesso tempo garantire il trasporto delle merci da e verso le grandi vie di comunicazione fluviale e fungere da collettore fognario delle acque di scarico dell’intera città.  Con questi presupposti, dalla seconda metà del I secolo a.C. (periodo a cui risale la costruzione della più antica cerchia muraria cittadina), le acque del fiume Seveso vennero deviate e, in corrispondenza dell’attuale via Cusani, incanalate verso est e verso ovest nel fossato artificiale circostante le mura, per poi ricongiungersi nel suburbio sudoccidentale (l’area altimetricamente più depressa) e defluire per mezzo della Vettabbia verso le arterie fluviali situate a sud di Mediolanum (Lambro e Po). All’interno di questa cintura idrica, ulteriormente alimentata dalla presenza di risorgive, la distribuzione dell’acqua era affidata a una fitta rete di canalizzazioni artificiali, estesa dal centro cittadino fino alle propaggini del tessuto urbano anche all’esterno delle mura.  Le indagini archeologiche degli ultimi decenni sembrano supportare pienamente questa ricostruzione: tratti consistenti del fossato difensivo di età tardorepubblicana sono emersi in piazza Fontana e in via del Lauro, mentre in via Monte Napoleone, in via Borgogna e presso il Verziere si è riconosciuta la fossa urbica che completava l’estensione delle mura progettata da Massimiano, contestualmente all’innalzamento della città a capitale dell’impero. La rete idrica interna è testimoniata dal ritrovamento di canali in aree sia interne che esterne alle mura, come ad esempio in via S. Margherita, via Torino e via Lupetta: queste evidenze presentano un orientamento parallelo agli assi viari principali dell’impianto romano e conservano materiali databili alla fase di “romanizzazione” della città (II-I secolo a.C.). Preziosi tasselli nella ricostruzione della mappa idrografica sono inoltre le infrastrutture legate alla gestione dell’acqua: oltre a numerosissimi pozzi di captazione, arcate di ponti sono emerse lungo corso Vittorio Emanuele, nell’area del Carrobbio, di via Disciplini e di via Cardinal Caprara, mentre resti di banchine palificate sono attestate nella zona di via Larga e di via Calatafimi, dove è stato recentemente individuato un significativo tratto di canalizzazione. Le fonti letterarie e la geomorfologia del territorio suggeriscono infine di localizzare il principale porto fluviale nella zona di P.zza Vetra, in corrispondenza dell’attuale Parco delle Basiliche.

 

Marco Podini, Anna Losi, Giovanna Cicala e Maria Teresa Pelliccioni (Soprintendenza Archeologia, B.A.P. per le province di Parma e Piacenza): Acquedotti e condotte idrauliche di età romana a Reggio Emilia: contesto archeologico, tecnica edilizia ed elementi epigrafici

Fra l’inverno del 2011 e la primavera del 2012, gli scavi effettuati per la costruzione del nuovo Polo Oncoematologico dell’Ospedale di Santa Maria Nuova a Reggio Emilia, ubicato nella periferia sud-orientale della città, hanno portato al rinvenimento di due condotte idrauliche di età romana. Realizzate in materiale laterizio, queste correvano parallele fra loro a una distanza di circa 40 m l’una dall’altra ed erano orientate in senso S/E-N/O, convogliando verso il centro urbano le acque di una risorgiva naturale (c.d. “Acque Chiare”). Uno dei due condotti – costituito da una doppia fila di tubuli circolari - era già noto grazie a rinvenimenti effettuati alla fine degli anni 90’ del secolo scorso. La scoperta, del tutto inaspettata, del secondo acquedotto – in questo caso a conduttura singola - si rivela di grande interesse per l’individuazione di più di 40 bolli impressi sui moduli fittili. L’analisi dei dati geo-morfologici e stratigrafici, l’esame dei materiali archeologici, il confronto con strutture analoghe e lo studio dei bolli consentono oggi di inquadrare in modo molto più organico – sia sotto il profilo funzionale che cronologico - il tema dell’approvvigionamento idrico a Reggio Emilia in età romana.

 

Alberto Vigoni (ricercatore indipendente): Archeologia dei pozzi ad elementi cilindrici fittili nei territori della Cisalpina

Nella variegata tipologia costruttiva dei pozzi per acqua, manufatti diffusissimi in epoca antica nei territori della Cisalpina, si distinguono quelli ad elementi cilindrici fittili impiegati nel rivestimento della canna. Si tratta di una delle prime tecniche adottate per la realizzazione di queste infrastrutture, adottata già in epoca preromana secondo un modello mutuato dalla Grecia e dalle colonie dell’Italia meridionale, presto sostituito da tecniche e materiali creati specificatamente nei territori padani. La realizzazione di tali pozzi si declina dunque nel complesso momento di passaggio della cosidetta romanizzazione della Cisalpina.

 

Federica Fontana, Emanuela Murgia (Università di Trieste): La decorazione parietale e pavimentale degli edifici termali in Italia settentrionale

Il contributo intende presentare analiticamente le testimonianze di decorazione parietale e pavimentale riferibili agli impianti termali pubblici in area nord-italica. Tra i contesti più interessanti si devono menzionare quelli di Concordia ed Aquileia; la prima ha restituito un significativo nucleo di affreschi, ascrivibili alla piena età imperiale, con scene relative a un tiaso marino: l'eccezionalità dell'insieme deriva, innanzitutto, dal fatto che in area nord-italica le testimonianze pittoriche con soggetti figurati sono piuttosto limitate, fatto da alcuni attribuito al costo dovuto alla prestazione di un pictor imaginarius. Ad Aquileia, è verosimilmente attribuibile ad un complesso termale una serie di intonaci dipinti di età repubblicana, mentre le cosiddette “Grandi Terme” offrono importanti esempi di decorazione musiva e pittorica della tarda antichità.

 

Giuseppe Cuscito (Università di Trieste): Vive renatus aqua: l’acqua battesimale tra risonanze patristiche e sistemi idraulici

Nelle epigrafi dei cristiani ricorre in più occasioni il vocabolo fons con riferimento ai valori sacramentali dell'acqua battesimale ovvero a quelli più semplicemente naturalistici dell'acqua che lava e purifica. In entrambi i casi, sia che si tratti della piscina per il rito del battesimo sia che si tratti di una fontana a uso dei pellegrini nell'atrio di una chiesa, le fonti letterarie ed epigrafiche non mancano di messaggi spirituali, ma anche di informazioni sui sistemi idraulici adottati, talora riscontrabili archeologicamente.

 

Fulvio Coletti (Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma), Patrizio Pensabene (Sapienza Università di Roma): Acqua per gli uomini, acqua per gli dei. Gli approvvigionamenti idrici e i sistemi sanitari sul Palatino a Roma: cisterne, canalizzazioni, vasche rituali

Le indagini condotte negli ultimi 30 anni sul colle Palatino hanno messo in evidenza un numero consistente di strutture legate ai sistemi per l’approvvigionamento idrico, sottolineando come il problema delle conserve di acqua fosse particolarmente sentito fin dalle origini e come di epoca in epoca, con il progredire delle tecnologie, furono progettate diversificate e più complesse soluzioni. Soprattutto nell’area sud ovest del colle, un considerevole numero di cisterne di epoca tardo arcaica o alto repubblicano, per lo più correlate ad aree templari, documentano la necessità dell’uso delle acque nelle liturgie sacre, evidentemente rifornite di acque piovane e solo in alcuni casi collegate a canali di captazione sotterranei. Sono note, per questo periodo, le due cisterne inglobate nel lato est del tempio di Victoria, la cisterna incorporata nella casa di Livia, una cisterna a corridoi che si apre sul fianco sud ovest del colle e una vasca quadrangolare sotto i vani del quartiere dei servizi della Magna Mater, adiacente ma non correlata con le capanne dell’età del ferro. Tutte queste strutture ipogee avevano una chiara valenza sacrale come dimostra il rito di fondazione della cisterna ogivale dell’angolo sud est della Victoria o delle stratificazioni di colmata provenienti alle distruzioni dei templi ad esse correlati, che ne qualificano l’utilizzo dopo l’abbandono come enorme favissa sacra. Per l’epoca medio e tardo repubblicana, invece, vasche ed altri sistemi di conserva delle acque, per lo più associate alle ricche domus aristocratiche situate lungo le pendici del Palatino, attestano  di un diverso e più complesso sistema di canalizzazioni di acqua corrente mutuato dagli acquedotti che rifornivano la città.  Tuttavia tra l’epoca neroniana e quella domizianea, si assiste alla definitiva risoluzione in termini ingegneristici del problema sul palatino dei rifornimenti idrici. Nel contesto storico della edificazione delle grandi residenze principesche (Domus Tiberiana, Flavia, Augustana e severiana) che occuparono da ora in poi l’intera planimetria del colle, modificandone l’assetto originario, l’esigenza impellente era quella di rifornire tali complessi di una enorme quantità di acqua, che cercasse di provvedere alle necessità della corte e degli uffici dell’amministrazione imperiale, al mantenimento dei giardini con le sontuose mostre d’acqua, gli edifici termali ecc. Per quest’epoca la documentazione archeologica ci dà conto di un articolato sistema di bracci pertinenti all’acquedotto Claudio. Condotto da Nerone fino al Palatino, con monumentali arcate in laterizio ancora apprezzabili presso la via di S. Gregorio, le canalizzazioni si rintracciano presso le pendici orientali del colle dove, attraverso cisterne e castella acquarum, rifornivano i complessi architettonici della domus severiana con il relativo balneum e delle domus Flavia e Augustana. Da qui le condutture approvvigionavano il settore ovest del colle, nel quale.mediante un doppio sistema di canali sotterranei, archeologicamente documentati, si riforniva il complesso templare della Magna Mater con le terme imperiali e il quartiere dei servizi del tempio, mentre verso nord ovest si porvvedeva a rifornire le cisterne situate nell’angolo nord ovest della domus Tiberiana. L’intervento che si propone, quindi, vuole offrire un contributo ulteriore ad un problema già ampiamente dibattuto nella storia degli studi riguardante i sistemi idrici dio rifornimento del colle Palatino, proponendo alla discussione dati materiali dai recenti scavi e nuovi punti di vista.........

 

Piera Caggia (CNR, Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali - Lecce); L’acqua dell’Apostolo Filippo a Hierapolis di Frigia

Le recenti indagini che la Missione Archeologica Italiana ha condotto sulla collina di San Filippo a Hierapolis di Frigia permettono di tracciare un quadro articolato del santuario protobizantino dedicato all’Apostolo Filippo. Il santuario si compone di numerosi edifici, il Martyrion, la basilica con la tomba dell’Apostolo, la scalinata monumentale e le terme ottagonali. Accanto alle terme, destinate al bagno di fedeli e pellegrini, e della grande fontana (aghiasma), anche gli edifici ecclesiastici si caratterizzano per la presenza dell’acqua: un sistema di canalizzazioni e vasche per abluzioni sono state infatti individuate nel Martyrion e nella basilica, presso la tomba del Santo. Lo studio sistematico della rete di canali, delle cisterne, e delle vasche permette di tracciare un primo quadro del sistema di approvvigionamento e distribuzione idrica, facendo luce sulle molteplici funzioni dell’acqua all’interno del santuario.

 

Guido Rosada (Università di Padova): La piscina di captazione e l'acquedotto di Tyana  in Cappadocia

La piscina di captazione dell’acquedotto di Tyana, costruita ai piedi di Köşk Höyük, è una struttura utilitaristica che trova pochi confronti per dimensioni e caratteristiche in altri esempi nel mondo romano. Questo testimonia l’importanza anche di propaganda che veniva ad assumere la piscina nel momento in cui, con Caracalla, Tyana assumeva il titolo di colonia (213 d.C). Ma è anche possibile che il luogo dove l’acqua risorgeva conservasse anche la memoria più antica di quel tempio dedicato a Zeus Asbamaios di cui ci  parlano le fonti. L'acquedotto che dalla piscina prendeva origine e raggiungeva poi l'antica colonia e mansio stradale era in parte sotterraneo e in parte, nel suo tratto terminale, su arcate che si alzavano progressivamente dal terreno per equilibrare la pendenza dello specus e moderare la pressione idraulica.

 

Yuri A. Marano (ÖAW, Wien): Acquedotti e sfruttamento delle risorse idriche nell’Italia ostrogota

Per la ricchezza delle fonti scritte e dell’evidenza archeologica, il periodo ostrogoto rappresenta un osservatorio privilegiato per lo studio dell’urbanesimo tardoantico. Sotto questo punto di vista, uno degli aspetti meglio documentati è il settore dell’approvvigionamento idrico (e delle strutture a esso direttamente connesse, come le terme e i mulini), collegato anche con il sistema fognario e le strutture di smaltimento delle acque reflue. La testimonianza degli autori dell’epoca, Cassiodoro in primis, consentono di ricostruire l’evoluzione delle strutture amministrative preposte alla cura degli acquedotti, documentando al contempo l’impegno evergetico dei sovrani ostrogoti e di altri attori (quali le autorità ecclesiastiche) nel restauro e nella cura di queste infrastrutture di fondamentale importanza per la vita cittadina. Al contempo, i progressi dell’archeologia urbana consentono di ricostruire l’evoluzione materiale della rete infrastrutturale dei centri urbani italiani tra la fine del V e la prima metà del VI secolo d.C. È appunto tramite l’integrazione di queste diverse classi di evidenza che l’intervento intende offrire un quadro di insieme dello sfruttamento delle risorse idriche nell’Italia ostrogota.

 

 

POSTER

 

Annalisa Giovannini (Associazione Nazionale per Aquileia), In contrada Beligna... “acqua sulfurea”. Notizie dalla Grande Guerra.

Alcuni dati sulle caratteristiche dei pozzi presenti ad Aquileia durante la Prima Guerra Mondiale, in particolare quella della presenza di acque sulfuree alla Beligna, possono essere utili nella ricostruzione della struttura del paesaggio antico.

 

Luciana Mandruzzato (Arxé), Flaviana Oriolo (Museo Civico di Zuglio), Serena Vitri (Associazione Nazionale per Aquileia), Infrastrutture idrauliche a Iulium Carnicum

Come noto  Iulium Carnicum si sviluppò in area montana su un modesto pianoro delimitato dal torrente Bût alla base dei pendii di alture alquanto impervie. L’approvvigionamento dell’acqua dovette essere risolto facilmente mediante l’utilizzo di sorgenti locali. Lo smaltimento poneva invece notevoli difficoltà come si deduce dai numerosi interventi di ripristino della cloaca maxima e di numerose canalette. Si propone una rilettura delle infrastrutture idriche di cui si definirà, ove possibile, tipologia e cronologia anche in rapporto alla morfologia del sito.

 

Stefano Magnani, Paola Mior (Università di Udine): Il rifornimento idrico di Palmira

La città di Palmira, situata al centro di un'oasi della steppa siriaca, deve la sua fortuna alla presenza di due sorgenti d'acqua, di cui solo una, tuttavia, era potabile. Lo sviluppo dell'insediamento, sorto già nel secondo millennio a.C., comportò la realizzazione di complessi sistemi idraulici di canalizzazione (qanawat) che rifornissero d'acqua potabile la città e consentissero inoltre l'irrigazione delle terre circostanti. Uno di questi, il qanat Abû –l-Fawâres, conduceva alla città l'acqua captata da alcune sorgenti sullo Gebel at-Tar, a circa 12 miglia a occidente dell'antico centro, e contribuiva all'irrigazione di una vasta estensione di terre. Le indagini condotte negli anni passati dalla missione congiunta delle Università di Udine e di Milano e lo studio della documentazione satellitare consentono oggi di definire nella sua completezza il percorso del qanat e l'articolazione delle diverse infrastrutture ad esso collegate, di cui solo una parte era stata oggetto di studio in precedenza.
 

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